martedì 31 marzo 2009

Tattooooooooo


Mi si domanda il perché dell’ultimo post…effettivamente non è in linea con il mio stile usuale, ma si cambia nella vita no? Ecco perché, dopo averlo escluso a priori per anni, ho deciso di farmi un tatuaggio. E cercando un simbolo di libertà che non fossero le ali o il delfino, ho scoperto come il colibrì possa rispecchiare ciò che sento. Come tutti gli uccelli infatti esso simboleggia la libertà, ma ha anche un altro significato: non sono importanti il passato o il futuro, è importante vivere l´adesso, succhiando il nettare della vita.
Voglio che questo tatuaggio (non vi dico dove sarà fatto per mantenere un po’ di curiosità) sia il simbolo del cambiamento avvenuto in me nell’ultimo anno, cambiamento che ha portato tanta gioia ma anche tanto dolore.
Indagare dentro se stessi, dopo aver negato la realtà per tanti anni, fa molto, molto male, ma è stato come riscopire una persona diversa da quella che conoscevo, e che mostravo agli altri. Bisogna ora abituarsi a questa nuova Dandy, imparare a convivere con il nuovo sentire, e rifiutarsi di rimettere la maschera che per anni, dall’infanzia mi ha oppresso. Sempre sorridente e casinista a tutti i costi (anche rendendosi ridicola a volte) per piacere a tutti, ma dentro un pozzo di tristezza e sofferenza. Ora sono me stessa, o per lo meno cerco di mettere in pratica ciò che ho imparato, a costi anche alti a volte, ma è necessario e giusto che sia così.

mercoledì 18 marzo 2009

Fantastico


I colibrì, definiti nei paesi dell'america latina "beijaflor", (in italiano, "bacia-fiori") per la loro eleganza nel prelevare il nettare in volo dai fiori, più simile ad un soffice bacio che al semplice cibarsi, sono piccoli uccelli dal peso che varia da 5 a 20 grammi.
Per la sua spiccata aggressività, la rapidità nel volo e nelle acrobazie, per gli stupendi colori di cui è dotato, le antiche civiltà americane lo consideravano la reincarnazione di valorosi guerrieri caduti in battaglia e la rappresentazione in terra del dio Sole.
Questi animali sono suddivisi in circa 320 specie, concentrate soprattutto nelle foreste tropicali dell'America centrale e meridionale.
Hanno eccezionali capacità di volo, grazie alla più grande apertura alare, in rapporto alle dimensioni del corpo, di tutti gli uccelli: per volare sbatte le ali ad una velocità di 50 battiti al secondo.
Il movimento è così rapido da produrre un sonoro ronzio, come quello di un calabrone, in lingua inglese sono quindi chiamati “ hummingbirds” uccelli ronzanti.
Il loro battito cardiaco, la cui frequenza media è circa 10 volte quella di un essere umano, può raggiungere picchi di 1260 battiti al minuto.
Le penne hanno un colore particolarmente brillante: sono ricoperte da piccolissime lamelle cornee trasparenti che contengono microscopiche bolle d'aria, che funzionano da prismi ottici. Il raggio di luce viene così scomposto nei suoi colori originari dando una colorazione cangiante diversa a seconda dell'angolo di osservazione.
Il becco, appuntito, per lo più diritto o leggermente ricurvo, è talvolta lunghissimo e serve per succhiare il nettare dei fiori o per cibarsi di ragni e piccoli insetti che catturano in volo o all’interno delle corolle.
Nel suggere il nettare il becco rimane intriso del polline dei fiori, in questo modo spostandosi da un fiore all’altro fungono anche da veicolo naturale per l’impollinazione.
E’ da notare che questo uccellino può cimentarsi in una diversità incredibile di vocalizzazioni e, come gli umani e pochi altri animali, ha sviluppato la rara capacità di imparare suoni diversi, non solo quelli che ogni specie ha innati in sé dalla nascita.Il suo cervello, rapportato alle dimensioni del corpo, è uno dei più grandi nell’ambito del mondo animale.
I Colibrì sono tipicamente solitari, vivono in media 4-5 anni e si associano con il sesso opposto solo per pochi secondi durante l’accoppiamento.

giovedì 12 marzo 2009

La perdita


Il sentimento del dolore si sviluppa in genere associato a situazioni di mancanza e disillusione – un abbandono, una separazione, un tradimento, un lutto, un rifiuto, un cambiamento di vita interno o esterno – e ha in sé un duplice contenuto, di provazione e di rinnovamento: occorre lasciare andare qualcosa di vecchio a cui, pur nella sua complessità, si era abituati, per consentire l’ingresso al nuovo, allo sconosciuto, all’imprevedibile.
Non è facile trovare le parole per descrivere le sensazioni che l’esperienza del dolore provoca poiché in genere, anziché ascoltarlo e dargli spazio per comprenderne il significato, tentiamo di resistergli, contrastarlo, allontanarlo: siamo diffidenti verso questo sentimento violento e incontenibile e facciamo scudo per non sentirci sconvolti.
Fin dalla nascita sappiamo che il dolore è parte della vita umana, ma non riuscendo ad accettare l’evidenza, ogni volta si rinnova in noi la paura: temiamo di non trovare più nulla di buono per la nostra vita, lasciandoci sfuggire qualcosa di molto importante: il coraggio di guardare in faccia la realtà, di accoglierla per quella che è.
Poche emozioni ricordano così da vicino la morte. Ogni volta che si abbandona qualcosa o si percepisce una fine, l’ansia non è solo la perdita in se stessa, ma l’improvvisa consapevolezza dei nostri limiti umani in contrasto alle più folli idee di onnipotenza. La coscienza che tutto cambia e finisce muta il valore del tempo: il presente diventa un bene prezioso mentre le proiezioni e le apsettative per il futuro diminuiscono d’intensità.
Elaborare un lutto significa accettare la realtà della perdita e il sentimento di dolore struggente sino a quando qualcosa internamente si muove e si modfica, l’angoscia cala d’intensità e l’interesse a essere presenti nella vita si riaffaccia.
Quando ci si trova, per qualsiasi motivo, a dover dire addio a una persona amata, è importante esprimere pensieri e sentimenti rimossi, difficili, incerti, sospesi, poiché è impossibile congedarsi veramente da qualcuno se non liberandosi del peso delle cose non dette.
Quando una relazione ha avuto un particolare significato, una speciale ricchezza, avendo attinto a qualità mai sperimentate prima, la disperazione per la perdita è talmente forte da sembrare intollerabile: per chiudere con questa persona e sciogliere il contrasto fra il desiderio e il rancore è indispensabile riconoscere le peculiarità in lei o in lui tanto amate, ringraziarla per quanto ricevuto e puntare con forza a fare nostre quelle doti, ritrovandole in noi stessi come potenzialità, aspirazioni, risorse.
La capacità di sopportare il dolore e tollerare la mancanza rivelano forza di carattere e fiducia in se stessi: se un bambino potesse maturare queste qualità nell’infanzia, sperimentando il distacco dalla mamma sentendosi allo stesso tempo sostenuto e protetto, da adulto affronterebbe le situazioni di lutto e abbandono con meno difficoltà.
Quando un legame si spezza, le persone sono costrette a entrare in contatto con la solitudine, la mancanza, i fantasmi e le angosce ancestrali, ma sfuggire l’esperienza del vuoto, frastornandosi di persone e cose, non risolve, anzi aggrava, il malessere, poiché avere accanto persone con cui non vi è affinità alimenta la sensazione di solitudine, così come fare cose non corrispondenti alle proprie necessità aumenta il senso di incapacità: ogni risoluzione di fuga sembra sterile e inefficaca a dare sollievo.
Da un lato è vitale instaurare legami intimi e profondi perché hanno il potere di sconvolgere la monotonia, nutrire l’anima e dare senso all’esistenza: dall’altro è indispensabile accettare la solitudine per trovare forza nella propria individualità e favorire il flusso creativo.
tratto da “La relazione che cura” di Margherita Biavati -

Sognare...amare


E' bello sognare, ad occhi aperti e ad occhi chiusi.Già ne parlai in un vecchio post.
Qualche volta sogno persone a me care, soprattutto quando non le vedo da lungo tempo e mi mancano, e stanotte ho sognato una persona a me cara, molto cara, che è stata parte della mia vita per anni, e che ora, come purtroppo a volte accade, non lo è più.
Io quello che dico sempre è: "Mai dire per sempre". Non esiste il "per sempre" perchè tutto cambia, tutto si evolve, il mondo gira sul suo asse e noi ci adattiamo al suo muoversi.
Così l'amore a volte finisce, a volte si trasforma in qualcosa di indefinibile, e assume diverse sfumature, che non sappiamo classificare, ma è sempre e comunque fonte di gioia/dolore proprio perchè è amore.
Un dolore così sordo, così potente, che ci prende lo stomaco, e ci mangia dentro. Poi la sensibilità e la forza di ognuno di noi ci porta a sopportare questi periodi della nostra vita in modo del tutto soggettivo.
Io sto soffrendo, ma con la mia solita incapacità (e in questo caso è un vantaggio) di non prendere le cose "di petto", cerco di non pensarci, mi butto nel lavoro, nello sport, tengo la mente occupata per non pensare, e per non soffrire.
Probabilmente lui sta affrontando la cosa in modo diverso, e chissà dio come sta? L'ho sognato ed era felice. Organizzavo una festa a casa dei miei, in giardino, e lui era felice di vedermi, felice di avermi come amica. Ci eravamo ritrovati, e questo mi riempiva di una gioia immensa.

martedì 10 marzo 2009

Watch over me

Oggi mi dedico, e spero apprezzerete anche voi, un pezzo di Bernard Fanning , cantante e autore australiano. La canzone mi ricorda l'infanzia, dai 10 ai 16 anni circa, quando la mia american teacher mi insegnava la lingua facendomi ascoltare canzoni come "I just called to say I love you" di Stevie Wonder, o la mitica colonna sonora di Footloose . Il film credo di averlo visto almeno 10 volte...Kevin Bacon aveva 26 anni, e mi piaceva così tanto!
Ricordo che mi ero portata la cassettina nel mio viaggio negli States, la ascoltavo col Walk-man durante i lunghi tragitti in camper nei deserti dell'Arizona, da Los Angeles, San Diego, a Phoenix e poi Tucson, dove i suoi vivevano. Sabbia, cactus, circa 38°C, ragni enormi, camiom enormi, panini enormi, culi enormi, tutto era gigante, così come lo avevo visto in Dallas (avevo 16 anni ed era il mio telefilm preferito).
Festeggiai lì il 4 luglio del 1992, sul retro di un pick-up guardando i fuochi d'artificio, dopo aver mangiato hot-dog e patatine, con autoctoni così patriottici e simpatici che non potevi non condividerne l'entusiasmo. E ciò mi rimarrà nel cuore per sempre. Per fortuna i kili acquistati li ho poi persi col tempo ;-)

martedì 3 marzo 2009

Tennista io?

Anche questa mi doveva capitare ora. Ho il cosiddetto "gomito del tennista", o più clinicamento detto epicondilite, un’infiammazione dei tendini che interessa l’osso del gomito e i muscoli epicondilei. "Questi muscoli, estensori dell’avambraccio, consentono il sollevamento della mano e del polso e il piegamento all’indietro delle dita", questo rende l'idea di quanto sia invalidante. I motivi scatenanti? Non gioco a tennis da 25 anni, feci un paio di corsi quando in tv davano Jenny la tennista, ma la mia carriera finì lì.
Ora il motivo scatenante è sicuramente il computer, quel maledetto/benedetto oggetto che è parte integrante del mio mondo, e l'uso continuo del mouse. Il dolore è fastidioso, non riesco a sollevare pesi, a stendere o piegare il braccio, paio una vecchia!
Quindi ho deciso: nell'attesa di fare una visita ortopedica prendo un antinfiammatorio e cambio uso del mouse. Lo uso come se fossi mancina, ho spostato il mouse pad e invertito i tasti del mouse: con ciò peraltro stimolo anche il cervello, che ha sempre bisogno di nuovi input. :-) Però che fatica!